L’autolesionismo inconsapevole

Si, può anche essere una considerazione inutile ma quello che entra nelle case degli italiani è un prodotto disuguale, non omogeneo ne somigliante a quello che dovrebbe essere. Fare un buon extravergine da olive non è difficilissimo ma neppure semplice e spesso non tutti seguono almeno quei piccoli accorgimenti per ottenere un prodotto decente. Ci ritroviamo sempre a criticare gli oli di origine comunitaria o extracomunitaria (per carità, liberi di farlo con le dovute ragioni) ma senza mai guardare in casa nostra cosa succede. Ebbene spesso mi capita di assaggiare oli difettati del tutto privi di buoni odori, prodotti da olivicoltori, che arrivano sulle tavole di amici e famiglie come oli da olive biologici (che non hanno subito alcun trattamento), naturali e genuini. Il fatto che l’olivicoltore non effettui alcun trattamento agli alberi è sinonimo di sicurezza per la gran parte dei consumatori. Non ditemi che non è vero! L’olivicoltore “medio” non si serve di alcuna consulenza tecnica, di un agronomo che gli consigli cosa fare nell’uliveto per produrre un olio di qualità e questa è una grave mancanza per un’opportunità di crescita professionale.

C’è poi chi fa un lavoro diverso, professionale, con cultura e formazione, che si presta alla cura degli alberi e alla coltivazione dei terreni con coscienza e consapevolezza. Questo è l’olivicoltore “2.0”, che fa l’olio buono e lo comunica bene, che lavora con impegno alla qualità e crede che nell’olio da olive buono ci possa essere un futuro. E’ colui che fa promozione, che investe nel marketing, che si mette in gioco per migliorarsi sempre e che è partecipe di un potenziale cambiamento, di una svolta finora incompiuta. E’ colui che non svende l’olio che ricava da quei frutti, perché la qualità ha un costo ed un valore molto grande che parte dal territorio, passa dal paesaggio, dalla terra, dalle voci degli uomini e delle donne, dalla famiglia, dal vento: per poi arrivare chiuso in un’elitaria bottiglia.

C’è infine chi fa buona comunicazione a supporto dei produttori e dell’olio autentico: sono coloro che spesso vivono anche in prima persona il lavoro degli olivicoltori, le loro problematiche e le vicissitudini. Sono coloro che amplificano la corretta informazione, che fanno cultura di prodotto, che raccontano, che indirizzano il consumatore verso una scelta consapevole e lo fanno con amore e passione. E’ un lavoro che richiede un impegno costante ed un aggiornamento continuo, al fine di dire sempre le cose come stanno o come dovrebbero stare.

In tutto questo c’è una forte contraddizione: perché l’olio da olive con evidenti difetti organolettici, messo in circolo dagli olivicoltori che del tutto in buona fede pensano sia buono, va a finire proprio sulle tavole dei tanti consumatori che inevitabilmente si abituano a quel “flavor”, lo memorizzano e pensano che l’autentico extravergine sia quello e non l’altro che è amaro e piccante e che magari profuma di erba o di carciofo piuttosto che di pomodoro. Lo vanno a prendere direttamente in azienda o al frantoio appena estratto ma senza conoscere nulla di quell’olio, tantomeno la qualità chimico-fisica. Si fidano dell’olivicoltore con le mani rotte dalla fatica – che merita tutto il rispetto, intendiamoci bene – e che svolge quell’attività da più di quarant’anni. Ma un prodotto genuino non vuol dire che è sano, questo va verificato con le analisi. Ecco, noi quindi ci troviamo a dover combattere contro noi stessi una guerra fatta sostanzialmente di inconsapevolezza, di incultura: ci facciamo del male da soli frenando proprio la corretta informazione di cui ha bisogno il consumatore per diventare consapevole.


di Vincenzo Nisio - tutti i diritti riservati

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