Con l'olio ci si deve comportare in maniera diversa, quando lo si sceglie per "un fatto di salute"



E così, parlando di olio con una famiglia napoletana sulla spiaggia di Gaeta, a una certo punto il tizio mi ha detto: per me l'olio è un fatto di salute, scegliamo l'extravergine perché dicono che fa più bene. Qui mi devo soffermare, per forza di cose.

Partiamo dall'inizio. La prima regolamentazione sul l'olio di oliva risale al 1890 con il Regio Decreto Legge 7045. Nell'aprile del 1908 però, con la Legge numero 136, si ebbe una prima “classificazione” degli oli prodotti dalle olive. In particolare si distinguevano gli oli di oliva genuini dagli oli di oliva miscelati, ovvero quelli miscelati con oli di semi o con altre sostanze oleose.

Solo nel novembre del 1960, dopo una serie di altre Leggi che meglio descriverò in un altro articolo fra qualche giorno, nasce l'olio extravergine di oliva - per identificare quello di maggiore pregio. Il consumatore ha sempre ricevuto informazioni insufficienti sulla qualità degli oli da olive, ed è sempre stato felicemente convinto - almeno nella stragrande maggioranza dei casi - che l'olio genuino, oggi extravergine, fosse tutto uguale e tutto esattamente portatore degli stessi benefici per la sua salute. Molti, ancora oggi, non conoscono la differenza che c'è fra un olio extravergine di oliva e un olio di oliva. Pensano che sia uguale. Fino a qualche decina di anni fa l'olio di oliva era un prodotto preziosissimo, più del vino per esempio, aveva un valore altissimo, a tal punto che non tutte le famiglie potevano permetterselo e a volte neppure i proprietari degli uliveti lo utilizzavano per alimentarsi. Lo vendevano, lo riservavano per gli eventi speciali. Qualche proprietario più generoso permetteva a qualche famiglia più bisognosa di raccogliere qualche drupa rimasta sul terreno dopo la raccolta, qualche acino dal quale poter estrarre un po' di olio. Altrimenti si utilizzavano grassi meno nobili come la sugna o il burro. Oggi - per fortuna - le cose sono completamente diverse, l'olio di oliva è diventato un prodotto accessibile ad ogni classe sociale, anche quello extra vergine (a tal proposito vi consiglio di leggere un libro: Libero Olio in Libero Stato, di Luigi Caricato). Un lavoro da collezionare.

Già, extra vergine. Ma cosa significa extra vergine? È un olio estratto dalla sola spremitura delle olive la cui acidità libera, espressa in acido oleico, non è superiore a 0,8 grammi per 100 grammi. Inoltre non deve avere difetti organolettici. Molti consumatori però (quasi tutti) attribuiscono azioni benefiche per la salute a tutti gli extra vergini in commercio, anche quelli a basso prezzo. Ed è comprensibile, perché l'informazione è scorretta e/o inesatta e porta evidentemente il consumatore a pensare che l'importante è che sia scritto extra vergine sulla bottiglia. Bene, non è così. Perché un extra vergine apporti i benefici di cui tutti si riempiono la bocca, l oliò deve avere determinate caratteristiche, oltretutto facilmente identificabili da ogni consumatore con un gesto molto semplice: l'assaggio. Avete capito bene, basta semplicemente annusare l'olio e assaggiarlo per essere in grado di stabilire se è di qualità oppure è scadente.

Ma quali parametri bisogna cercare per definire la qualità di un olio? Bisogna precisare che sono molti, moltissimi i parametri che rendono un olio diverso da un altro, che lo rendono “speciale” e capace di influire davvero sulla nostra salute. Oltretutto la scienza è in continua evoluzione sull’olio, e si scoprono sempre di più molecole e sostanze preziose. Però ci sono caratteristiche organolettiche e sensoriali, che sono strettamente legate alla presenza o meno di alcuni composti “positivi” nell'olio che stiamo assaggiando. Il primo aspetto da valutare è sicuramente il fruttato di oliva, che tecnicamente si dice «verde» quando genera sensazioni che riportano alla freschezza, al ricordo del profumo dell'erba appena falciata. Quando si avverte il fruttato di oliva verde quindi, è evidente che l'olio è stato estratto da frutti sani raccolti al giusto grado di maturazione e che quindi sia ricco di vitamine e di altri composti positivi. Gli altri due parametri che bisogna cercare sono l'amaro e il piccante. Lo so, a molti di voi non piace l'olio che pizzica alla gola o è amaro, ma è una questione di abitudine, bisogna non avere preconcetti ed essere disponibili alla cultura di prodotto. L'olio extravergine ha diverse componenti aromatiche che troviamo solo negli oli di qualità, e vi assicuro che una volta in grado di riuscire a percepire le note positive e variegate degli oli di qualità vi innamorerete e non riuscirete più a mangiare oli scadenti. Provare per credere! Ovviamente questi due parametri (amaro e piccante) li sentiamo al gusto e denotano la presenza di composti fenolici. I composti fenolici sono un gruppo di sostanze che costituiscono il patrimonio antiossidante dell'olio. In particolare, si ritiene che l’idrossitirosolo, il tirosolo e gli agliconi che li contengono siano in parte responsabili del gusto amaro e piccante. La sensazione di pungente o piccante al gusto dipende da una sostanza chiamata oleocantale, una sostanza organica naturale isolata dall’olio extravergine da olive che svolge una potente azione antinfiammatoria e analgesica. In poche parole sono le sostanze che apportano grandi benefici al nostro organismo e, più l'olio è caratterizzato dai due attributi, più ricchezza di composti fenolici c'è e tanto più beneficio apportiamo alla nostra salute. Non sono gli unici aspetti, ci mancherebbe, ma per il momento bastano e magari in seguito prenderemo in considerazione altre sensazioni!

L'affermazione fatta dall'amico in spiaggia è quindi inesatta, perché quando si sceglie l'olio extravergine, per “un fatto di salute”, si devono adottare (per forza) alcuni accorgimenti. Altrimenti non serve a nulla.

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