E’ uno stano argomento, ma da quando – l’anno scorso – ho letto i
risultati delle analisi degli oli che hanno partecipato al concorso organizzato
nell’ambito del Buonolio Salus Festival,
ci penso sempre di più. Il concorso infatti prevedeva (e prevede tutt’ora)
anche la partecipazione di persone che producono olio senza etichettarlo ma che sono proprietari di uliveti ed hanno anche molte piante. Credo,
tuttavia, che sia un problema "italiano" e non solo legato ad un
territorio in particolare, quello dell'attribuzione della classe merceologica
dell'olio. Nessun produttore, o quasi, fa l’analisi chimica e organolettica al
proprio olio, tutti convinti di produrre il migliore extra vergine d'oliva, ma
in realtà è un buon vergine o addirittura un lampante. Nessuno, fino ad oggi,
si è mai interessato della qualità dell'olio prodotto in un territorio, nessuno
mai ha realizzato progetti volti a determinare la vera classificazione
merceologica degli oli prodotti dagli olivicoltori, nessuno si è mai
preoccupato di dire: signori così non si
produce un buon olio, tranne qualche pallido e temerario tentativo. La
cultura è mancata e ora si pagano le conseguenze.
Il monitoraggio della mosca dell’olivo è importante, ma è importante
quanto le fertilizzazioni e i trattamenti mirati al raggiungimento di una
soglia d’intervento, quanto la raccolta al giusto grado di maturazione e
soprattutto alla scelta del frantoio. Già, perché gli impianti di molitura sono
un altro argomento da trattare. Quanti olivicoltori conoscono l’elaiotecnica?
Come si basa la scelta dell’impianto? Molti olivicoltori lasciano le olive in
frantoio e vanno via, passano a ritirare l’olio anche dopo 3 o 4 giorni, senza
controllare la fase di molitura, la frangitura, i tempi di gramolazione, la
pulizia degli impianti.
Nessun commento:
Posta un commento