La classe merceologica, indicatore della cattiva gestione degli ulivi

E’ uno stano argomento, ma da quando – l’anno scorso – ho letto i risultati delle analisi degli oli che hanno partecipato al concorso organizzato nell’ambito del Buonolio Salus Festival, ci penso sempre di più. Il concorso infatti prevedeva (e prevede tutt’ora) anche la partecipazione di persone che producono olio senza etichettarlo ma che sono proprietari di uliveti ed hanno anche molte piante. Credo, tuttavia, che sia un problema "italiano" e non solo legato ad un territorio in particolare, quello dell'attribuzione della classe merceologica dell'olio. Nessun produttore, o quasi, fa l’analisi chimica e organolettica al proprio olio, tutti convinti di produrre il migliore extra vergine d'oliva, ma in realtà è un buon vergine o addirittura un lampante. Nessuno, fino ad oggi, si è mai interessato della qualità dell'olio prodotto in un territorio, nessuno mai ha realizzato progetti volti a determinare la vera classificazione merceologica degli oli prodotti dagli olivicoltori, nessuno si è mai preoccupato di dire: signori così non si produce un buon olio, tranne qualche pallido e temerario tentativo. La cultura è mancata e ora si pagano le conseguenze.

Sono poche le aziende - quelle che di proprio pugno e con coraggio hanno intrapreso la strada della qualità con l’aiuto di consulenti esperti - che hanno raggiunto importanti risultati, il resto degli olivicoltori è rimasto alla coltivazione hobbistica degli ulivi senza aggiornarsi e  continuando a produrre oli di scarsa fattura e di scarsa qualità. Quest’anno, per la prima volta, tutti disarmati difronte alla ribellione degli ulivi, spogli d’olive, come a dire “fermatevi e riflettete una volta per tutte, state andando nella direzione sbagliata”. La qualità dell’olio prodotto come la quantità delle olive raccolte è importante perché indicatore ineccepibile del lavoro svolto in campo. Che io sappia, nessuno mai ha avuto la “brillante idea” di capire realmente che tipo di olio si producesse in un territorio; se l’avessimo fatto, forse avremmo affrontato questa  emergenza in maniera diversa e più consapevole perché da anni ci saremmo accorti che la maggior parte dell’olio prodotto non era extravergine e che quindi c’era un problema socio-culturale che andava risolto. Un problema che va dalla coltivazione fino alla molitura delle olive.

Il monitoraggio della mosca dell’olivo è importante, ma è importante quanto le fertilizzazioni e i trattamenti mirati al raggiungimento di una soglia d’intervento, quanto la raccolta al giusto grado di maturazione e soprattutto alla scelta del frantoio. Già, perché gli impianti di molitura sono un altro argomento da trattare. Quanti olivicoltori conoscono l’elaiotecnica? Come si basa la scelta dell’impianto? Molti olivicoltori lasciano le olive in frantoio e vanno via, passano a ritirare l’olio anche dopo 3 o 4 giorni, senza controllare la fase di molitura, la frangitura, i tempi di gramolazione, la pulizia degli impianti.

Se avessimo conosciuto ufficialmente la vera classe merceologica degli oli prodotti nei vari territori, forse ci saremmo accorti – in tempi utili – di avere un grosso problema socio-culturale, una grossa falla da rimarginare e dalla quale oggi dobbiamo, aimè, ripartire.

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