No olio, no party

Ormai ho perso il conto di tutte le persone - amici, parenti, amici degli amici degli amici, ristoratori e conoscenti - che mi hanno chiesto dell’olio. Se ne avessi avuto a disposizione 50 quintali li avrei venduti tutti, senza badare troppo al prezzo. Ma di olio d’oliva non ce n’è e questo è il punto dal quale partire e ragionare, nella consapevolezza assoluta e per il bene di tutto il comparto.

No olio, no party. Almeno per le piccole imprese olivicole, quelle che fanno produzioni eccellenti, piccole quantità e grande qualità, con grande impegno. Si, perché le medie o grandi imprese si sono organizzate, qualcuno ha anche deciso di non confezionare olio, ma la maggioranza ha attinto olive o olio da altre zone d'Europa o del mondo comunicandolo serenamente in etichetta. C'è trasparenza, per carità, c'è consapevolezza e a mio parere non c'è niente di male. Quello che manca è l'unicità e le variabili sensoriali dei nostri oli, delle nostre 538 varietà di olive. È l'Italia che manca, più che l'olio. Le piccole aziende olivicole quindi, sono quelle che soffrono di più, non c'è olio per fare marketing, per gli assaggi, per gli eventi, per le fiere, per le guide. Ma non c'è neanche qualità, tranne in qualche sporadico caso, per cui "a volte è meglio desistere che perseverare".


Per fare qualità ci vuole impegno, per fare quantità anche, dobbiamo abituarci a questo e spero che questa annata dia all'Italia gli input necessari a far comprendere che bisogna cambiare, che bisogna investire di più in olivicoltura. E questo, ovviamente, vale anche per gli olivicoltori. Ne abbiamo discusso ampiamente, con docenti di formazione universitaria e professionisti qualificati, al FOCUS del Buonolio Salus Festival il 12 dicembre scorso; ne è uscito fuori che - purtroppo - nella maggior parte dei casi siamo rimasti a circa 100 anni fa: sia nella coltivazione e gestione degli olivi sia nella gestione delle emergenze che continuiamo a subire ogni qual volta si presentano. 

Sembra che in Italia continuiamo a nasconderci dietro un sottile velo, gridando che il nostro patrimonio rurale non può coesistere con il sistema superintensivo. È ovvio, nessuno dice il contrario ma impiantare nuovi olivi per aumentare la produzione non significa avere paesaggi come quelli spagnoli che neanche a me piacciono e non significa per forza "superintensivo". Significa crescere, progredire, diventare competitivi, creare un futuro. È da riconoscere alla Spagna un grande lavoro nell'abbattimento dei costi di produzione e nella specializzazione, c'è da dire che anche lo standard qualitativo è aumentato. Nel contempo però ha compiuto uno scempio ambientale, impiantando milioni di ettari con una monocoltura creando un paesaggio incredibilmente noioso e uniforme. L'Italia ha scelto la protezione dell'ambiente, il risparmio idrico e il minore consumo di suolo, la tutela del paesaggio. Tutti ingredienti giusti per valorizzare le nostre specificità che dobbiamo proteggere sempre. Tuttavia è indispensabile produrre quantità di olio sufficienti a soddisfare il fabbisogno del nostro Paese e anche quello dell'estero, quindi, qualcosa dovremmo pur fare. Non vi pare? Altrimenti saremo costretti a "desistere" per sempre e continuare ad avere il primato come paese importatore mondiale di olio d'oliva.

4 commenti:

  1. è difficile che si possa pensare di aumentare al produzione di olive per un fatto molto semplice, tralasciando quest'anno, spesso accade, che in piena raccolta i frantoi decidano di non acquistare olive per 2 o 3 giorni (perchè pieni...)...e questo per il coltivatore è un freno enorme, un grande deterrente...chiaro che i coltivatori credono poco al fatto che la domanda supera l'offerta... ed anche se così fosse in qualche modo (la domanda) è pilotata....quindi il coltivatore sapendo di essere l'anello debole della catena cerca di non fare il passo più lungo della gamba...

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  2. Egregio Davide, mi piace molto il suo impegno per l'olivicoltura e sono contento che, in qualche modo, se ne parli. La ringrazio.
    Vede, l'impressione che in Italia manchi un po di entusiasmo è evidente, è tutto nero, va tutto male e niente per il verso giusto. Il dato del fabbisogno non si discute, l'Italia avrebbe bisogno di piantare nuovi ulivi come avrebbe bisogno (con urgenza) di una nuova politica olivicola che dia più respiro a chi vorrebbe investire. Il Suo messaggio è chiaro ed emblematico e fa emergere un dato importante che è esattamente quello di cui stiamo parlando: mancano le infrastrutture, mancano nuovi impianti di molitura perché quelli che ci sono non ce la fanno, manca la competitività e mancano – poi – anche le olive. Mi creda dottore, è così più o meno. Manca un piano olivicolo serio.
    Io Le dico che qualcosa sta cambiando, ci dobbiamo credere in qualche modo. Dobbiamo ritrovarci, ritrovare lo stimolo e se siamo l’anello debole della catena lo dobbiamo decidere noi e non qualcun altro.

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  3. ok, d'accordissimo....riordiniamo le idee, a questo punto la domanda è: come ridare fiducia al coltivatore e fare in modo che ritorni ad investire?, e magari aumenti la produzione (perchè le 2 cose non sono strettamente correlate...siamo realisti...diciamo che la probabilità aumenta). Secondo me la risposta è far conoscere al piccolo produttore quali sono i margini di guadagno che si realizzano vendendo direttamente il proprio olio....affiancare al produttore olivicolo, un venditore di olio extravergine e non solo...(l'appetito vien mangiando...battuta involontaria)...creare una rete commerciale che sia di supporto ai piccoli coltivatori...in questo vedo centrale la figura dell'agronomo....l'agronomo potrebbe reinterpretare il proprio ruolo e non limitarsi ad assistere il coltivatore nel disbrigo delle pratiche burocratiche ma anche farsi promotore commerciale e aiutare a promuovere il prodotto, chi meglio di lui....ecco questa la mia visione.....io vedo in questo il futuro del comparto olivicolo (Meridionale) non nel superintensivo

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  4. Tutto dipende da noi, iniziamo a dire questo.
    Il coltivatore ha grosse difficoltà, sia a produrre un buon olio extravergine e sia a commercializzarlo, sarebbe cosa buona e giusta pensare a mettersi insieme magari, a cooperare. Così, forse, si può tornare a vedere un po’ di luce, ad investire e ritrovare fiducia. Molti olivicoltori nemmeno imbottigliano il proprio olio e non investono nemmeno il minimo indispensabile nel marketing. Come si può "pretendere" di commercializzare l'olio in queste condizioni? Sarebbe indispensabile anche un buon esame di coscienza. Detto ciò sono completamente d’accordo sul fatto che una figura professionale come l’agronomo debba affiancare in maniera più costruttiva l’agricoltore e la propria impresa agricola.

    Posso anche essere d’accordo sul fatto che il superintensivo non sia una “buona idea” per l’Italia, ne stiamo discutendo apertamente proprio per sentire i vari pensieri. Aprirò una discussione anche su Linkedin, nel gruppo “l’arte di fare olio”.

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