Non c'è ombra di dubbio, l'olio negli ultimi anni è cambiato, non è più quello di una volta ed è in completa evoluzione

Negli anni passati la consuetudine di vita del popolo era quella di ammassare le olive raccolte e farle restare qualche decina di giorni a terra prima di recarsi al frantoio, si dovevano ammuffire, erano le usanze tramandate dai genitori. Le indicazioni per ottenere la qualità dell'olio estratto. Arrivati al frantoio, nel quale probabilmente la pulizia non era delle migliori, era la molazza a frangere i frutti e quando la pasta - magari ricca d'acqua - era troppo liquida il frantoiano era costretto ad aggiungere della sansa, presa dall'esterno, per indurirla e renderla idonea per i fiscoli (di vimini secchi) e per la spremitura. Il contadino era pure contento, perché convinto che con l'aggiunta di sansa la resa in olio sarebbe stata superiore e quindi: più olio per la sua famiglia.

Succedeva anche l'esatto contrario, e cioè che la pasta delle olive era troppo dura e quindi aveva bisogno di essere ammorbidita. Si aggiungeva perciò acqua rigorosamente calda (scaldata dal fuoco di legna) nella molazza, rendendola idonea per infilarla nei fiscoli ed estrarre l'olio. La pasta generalmente si presentava di colore scuro, violaceo, tendente al marrone scuro, dovuto alle olive stramature e disidratate e dalla terra rimasta attaccata al frutto. Gli ambienti non erano sterili, erano rustici, ricavati per lo più da caverne e luoghi bassi, infimi e oscuri. Tutte le operazioni si svolgevano a lume di candela. Entrando, un odore acre o violente si ”attaccava alla respirazione”. Le attrezzature povere ma testate dal tempo e funzionanti e gli impianti di estrazione non erano alimentati con corrente elettrica e quindi i tempi di lavorazione erano lunghi, ancora a discapito della qualità dell’olio. Prima dell’avvento dell’elettricità, l’energia necessaria alla lavorazione per il movimento della macina era fornita da cavalli, asini e muli, mentre per il sollevamento del torchio dalla forza muscolare dell’operatore del frantoio. Dopo la molitura, che durava quindi molte ore, data la lentezza dell’animale trainante, la pasta veniva insaccata nei fiscoli che messi in colonna venivano compressi con il torchio. Siamo negli anni 30. Gli uomini, sobri, dal senso pratico, consoni, vestiti di lana e cotone con abiti semplici e tessuti poveri, senza badare troppo si colori che comunque erano scuri, nelle uggiose serate d’inverno, coperti dalla mantella spesso aspettavano le donne, sempre vestite di scuro, che li raggiungevano al frantoio. L’olio estratto finiva in una vasca riempita continuamente d’acqua bollente, di poco superiore ai 100°, mediante una specie di grande mestolo e si versava in un ulteriore recipiente di latta della capacità di circa 10 litri da parte del “capo trappitaro, che per la sua lunga esperienza passata nei frantoi, separava l’olio dall’acqua. L’olio fumante, poi, era versato negli stai, per il conteggio finale. Si ottenevano oli dolci, piatti, con una serie di difetti organolettici che forse, chissà, hanno causato anche qualche disturbo a chi lo ha mangiato. Ma questa è storia e non c’è dubbio che ha un suo fascino come non c’è da mettere in dubbio la dignità di quel prodotto che, seppur lampante, ha alimentato e nutrito generazioni e generazioni.

Non c'è ombra di dubbio, l'olio negli ultimi anni è cambiato, non è più quello di una volta ed è in completa evoluzione. Dagli inizi degli anni 90 i cultori dell'olio hanno iniziato a comunicare le buone pratiche agricole, i vari accorgimenti da adottare per ottenere un buon olio e così, fra mille difficoltà, oggi siamo più consapevoli. Gli impianti di estrazione hanno avuto una evoluzione continua, grazie alla tecnologia e alla scienza abbiamo scoperto e confermato i grandi valori nutraceutici dell’extravergine. Ecco, il valore dell’olio ha dimora proprio in questi valori, in queste virtù. Perciò quello buono costa tanto, perché la qualità ha un costo, fare la qualità, ottenere la qualità ha un costo.


In tutto ciò non mancano i ritardatari, quelli che ancora depositano le olive nei sacchi di juta o per tradizione le lasciano riposare qualche giorno prima di portarle in frantoio per la lavorazione. Ma per quelli ci sono buone speranze, oltretutto stanno rimanendo soli e prima o poi capiranno che non è così.

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