L’olio di bassa qualità si combatte con la cultura

Se ne sentono davvero tante, non volevo scriverne, non l’ho fatto finora ma adesso mi trovo costretto a farlo. Stanno uccidendo l’olio italiano, cioè – dico – ma veramente vogliamo continuare a prenderci in giro? L’importazione di olio tunisino non ucciderà il made in Italy, ne abbiamo sempre importato ingenti quantità non solo dalla Tunisia, lo abbiamo detto più volte: l’Italia che è il Paese dell’olio è paradossalmente obbligata ad importarne per soddisfare il fabbisogno interno. Chi mi conosce sa che non condivido campagne di demonizzazione verso gli oli da olive a basso prezzo; sono di qualità inferiore e pertanto costano di meno, non capisco dov’è la difficoltà. Il problema invece - e l’ho detto in più di qualche occasione - sta nella classe merceologica perché troppo vasta e comoda che consente di considerare extravergine anche l’olio di bassa qualità, che ha caratteristiche a volte anche molto inferiori ad un olio di qualità elevata ma che comunque rientra nei parametri previsti dalla legge.

Alfredo Marasciulo, su un interessante articolo apparso sul notiziario di informazione a cura dell'Accademia dei Georgofili (QUI) dice: basti pensare che la maggior parte dei consumatori non solo non conosce, ad esempio, la differenza tra olio extravergine di oliva ed olio di oliva, ma molto spesso confonde le caratteristiche organolettiche proprie del prodotto genuino e di qualità, con i difetti analitici

E questa, aggiungo io, non è certo colpa degli oli in commercio a basso prezzo.

Se i consumatori sapessero che non tutti gli oli extravergine sono uguali e che se volessero consumarlo come investimento per la propria salute dovrebbero scegliere quello giusto, con le giuste caratteristiche. Se i consumatori sapessero che l’olio extravergine da olive può essere considerato un “farmalimento”, ma deve possedere caratteristiche specifiche perché gli faccia davvero bene alla salute e non tutti gli oli in commercio le posseggono. Ah, si, se i consumatori sapessero.

L’olio rappresenta un mondo travagliato, che purtroppo è destinato ad affaticarsi sempre di più. E’ un mondo dove a vincere non è mai il più onesto o il migliore. I gruppi italiani sono i primi a fuggire, a non credere nell’olivicoltura italiana, a cogliere in pieno la prima occasione utile per andare ad investire altrove, dove i prezzi vengono stabiliti dai grandi gruppi. La qualità che si produce nel resto d’Europa e nel mondo, tuttavia, tranne rari casi, lascia molto a desiderare ed è qui che entra (o dovrebbe entrare) in gioco l’Italia, è in questo scenario che bisogna collocarsi invece di piangersi addosso demonizzando sempre e solo gli oli a basso prezzo. Bisogna educare i consumatori di tutto il mondo all’olio di qualità, alla cultura del prodotto, è l’unica strada, il contatto diretto con l’olio è l’unica soluzione possibile per far cambiare rotta alle dinamiche degli acquisti, il consumatore non va forzato ma va educato alla scelta giusta. Così, credo, anche il mondo produttivo può riposizionarsi e trovare un proprio mercato. La Spagna ha fatto delle scelte, forse sbagliate, ma l’Italia è dormiente. L’olio di oliva è il prodotto più frodato, non c’è dubbio, ma ad esempio: cosa hanno fatto le nostre istituzioni dopo la messa in onda del programma “60 Minutes” ? Nulla, il silenzio assoluto. A me tutto questo non sembra normale, sinceramente. Il mercato pulito e trasparente è utopia, e allora non ci resta che rimboccarci le maniche e credere nel nostro potenziale produttivo se vogliamo emergere e dare valore alla nostra olivicoltura. Si può fare, ma bisogna investire, investire, investire.

L’olio di bassa qualità si combatte con la cultura e non con gli slogan che poi, finita la fase calda, si spengono e restano silenti.


di Vincenzo Nisio - tutti i diritti riservati

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