Ne discutemmo alla prima edizione del Buonolio Salus Festival e da allora,
con un gruppo di amici olivicoltori, ne abbiamo iniziato a parlare in maniera concreta. In pochi
mesi capimmo che l’esigenza non era quella di una IGP casertana ma di una IGP
per l’olio Campano, regionale.
Era il 18 luglio del 2014 quando scrissi un articolo dal titolo “Scommettiamo che…?” (QUI) a seguito di un incontro fatto
con diversi produttori a Sant’Angelo d’Alife, presso il ristorante La Masseria.
Seguì un incontro con l’assessorato regionale e iniziammo a lavorare per la costituzione
di un comitato promotore. Lanciammo l’idea, comunicammo l’idea a diversi
produttori campani, devo dire la verità con pochissimi riscontri.
Negli anni, si sono succeduti vari tentativi di certificare la
produzione olearia, ma i risultati non sono stati positivi e ancora oggi –
purtroppo – si stenta a dare valore all’olio campano. Dalle DOP, per esempio,
non sono arrivati i risultati attesi, nessun valore aggiunto è arrivato dopo
ben venti anni, tranne qualche piccola realtà che di poco si è differenziata.
L’IGP invece,
a mio parere, è uno strumento innovativo, perché in primis darebbe la
possibilità di avere disponibile e
commercializzare un prodotto sempre di qualità (chimicamente e
organoletticamente) anche in annate di scarica o mancata produzione come quella
appena trascorsa. Ma ancora, aiuterebbe l’impresa a fare marketing ed affermarsi sul mercato e sfruttare finanziamenti mirati messi in
campo dalla Regione o dallo Stato. Non trascuriamo infine, l’immagine che questo marchio può
portare al territorio campano ed in particolare ad alcune aree, in termini di turismo
ed enogastronomia.
di Vincenzo Nisio - tutti i diritti riservati
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