E' il racconto di mia nonna, l'affascinante ricordo dell'olivagione di
quando era giovane, aveva 15 anni. Appena 15 anni e già tanta responsabilità,
caricata di tanto lavoro e di senso della famiglia. Brividi, se penso a quello
che sono oggi la generazione dei quindicenni.
Si partiva presto, alle 5 del mattino, il nostro territorio è collinare
e gli oliveti si raggiungevano dopo qualche decina di minuti di cammino.
La “cesa” (così è chiamato l’oliveto di montagna dalle
nostre parti) della nonna era quasi a San Pasquale –
località di Piedimonte
Matese – e si raggiungeva attraverso le mulattiere
della montagna. Nonna mi racconta che non ci si vedeva mai soli, ad ascendere
le montagne erano in molti, molte famiglie. Arrivati, non c’era tempo da
perdere, subito a lavoro, già organizzati, chi sull’albero e chi a raccogliere
le olive a terra, curvati - fino a quando si resisteva in quella posizione - e
poi con le ginocchia a terra, che spesso era bagnata o umida. A dirigere i
lavori era “ovviamente” il capo famiglia, mio bisnonno Carlo, nel bene e nel
male, giusto o sbagliato, era lui che ribadiva cosa fare. E non era certo una
imposizione o un cattivo carattere, era così per tutti, per tutte le famiglie,
così doveva essere, era giusto, normale.
La sera – al calare del sole – si ritornava nelle proprie case, con
il “fascio”, preparato da chi
saliva sulle piante di ulivo a raccogliere e provvedeva anche alla potatura.
Oggi magari si bruciano in campo, ma prima nulla si lasciava, era tutto utile,
nel caso specifico la legna serviva per il focolare. A cena infatti, si cuoceva
con la legna e con i carboni, patate e fagioli e frutta e verdura di stagione. Le
olive raccolte venivano ammassate in un angolo, e quando iniziavano a tirare
fuori liquidi venivano portate al “trappeto” o “frantoio”. “…Noi le portavamo al trappeto in mezzo alla
sorgente, dice nonna”. Il frantoio si pagava in olio, non in moneta, ogni 10
“sustare” di olio prodotto una “sustara” restava al frantoiano.
La “sustara” o “stagnera” era il recipiente di
stagno che veniva utilizzato per trasportare l’olio da olive prodotto,
conteneva 10 litri di olio. Tuttavia, chi doveva acquistare olio, spendeva
circa 9 lire al litro. C’erano anche persone, che finite le operazioni di raccolta, ci
chiedevano: putimmu venì ‘atturnà
ll’acino? (possiamo venire a raccogliere gli acini?). Si riferivano
alle poche drupe che erano rimaste a terra negli oliveti, erano le persone meno
fortunate che non avendone possibilità chiedevano il permesso di poter
raccogliere gli ultimi acini da terra con i quali estrarre un po’ d’olio per la
propria famiglia. Era così anche per l’uva e per il grano, ossia per la
produzione di vino e di pane. La nonna mi dice che non sempre la risposta dei
proprietari era positiva.
E poi, conclude, si aspettava con tanta gioia la domenica, sia perché
giorno di riposo e di festa e sia perché si mangiavano i maccheroni al sugo di
ragù e la carne.
di Vincenzo Nisio - tutti i diritti riservati
Nessun commento:
Posta un commento