Gli Americani ormai li conosciamo. Negli ultimi dieci anni hanno fatto
enormi sacrifici, hanno affrontato gli amanti della buona cucina - per i quali
valeva la pena acquistare solo oli extravergini mediterranei o meglio italiani - ed hanno piantato migliaia di nuovi ulivi, anche originari dei nostri
territori, producendo oli di ottima qualità e anche a prezzi minori. Cresce quindi, in America, il consumo di olio extravergine prodotto in
loco, grazie al prezzo competitivo e alla politica volta al sostegno
dell’agricoltura locale, ai posti di lavoro che la stessa produce e alla
possibilità di avere un prodotto più fresco. Si fa molta attenzione alla
conformità dei prodotti d’importazione che arrivano e si fa molta buona politica
per portare il consumatore a cambiare la rotta nella dinamica degli acquisti.
Tom Muller, autore del bel libro “Extraveginità: il sublime e scandaloso mondo dell’olio di oliva”, dice che l’industria americana – essendo più piccola e meno prestigiosa – non ha offerto le stesse occasioni di frode che abbiamo offerto noi, pertanto i produttori americano avranno l’opportunità di offrire un olio da olive più puro. E noi?
Tom Muller, autore del bel libro “Extraveginità: il sublime e scandaloso mondo dell’olio di oliva”, dice che l’industria americana – essendo più piccola e meno prestigiosa – non ha offerto le stesse occasioni di frode che abbiamo offerto noi, pertanto i produttori americano avranno l’opportunità di offrire un olio da olive più puro. E noi?
L’International Olive Council, organo governativo globale con sede a
Madrid, verifica gli oli controllando i livelli di acido oleico (un salutare
acido grasso che si trova nell’olio d’oliva) e di polifenoli (che indicano la
freschezza), e attraverso la valutazione di esperti degustatori. Lo scorso
ottobre, il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti ha adottato
standard simili, ma sono facoltativi e finora non è apparsa nessuna bottiglia
sul mercato che abbia seguito l’intero processo di certificazione presso
l’ufficio del nuovo centro di verifica a Blakely, Georgia. In assenza di olio extra-vergine certificato a livello federale, il
California Olive Oil Council, un’associazione di settore, ha creato un simile
processo di certificazione per gli oli dello Stato, con etichette speciali per
quelli che superano il test. Il Consiglio è stato aiutato dall’Olive Center, un
ente di ricerca inaugurato nel 2008 all’Università della California, a Davis.
L’anno scorso, l’Olive Center ha diffuso uno studio sorprendente, basato su
test di laboratorio e sensoriali, secondo il quale il 69% degli oli d’oliva
importati — incluse marche famose come Bertolli, Filippo Berio e Carapelli —
acquistati presso gli scaffali dei supermercati della California non riuscivano
a rispondere agli standard internazionali. Molto probabilmente, ha concluso lo
studio, molti di questi semplicemente non erano oli d’oliva extra-vergine. L’
analisi è stata finanziata in parte dai principali produttori d’olio d’oliva
della California. (Nove su 10 degli oli californiani sottoposti a test lo hanno
superato).
Un esempio? L’olio extravergine McEvoy.
Nan McEvoy ha impiantato – nel suo Ranch –
circa mille piante di ulivi provenienti dalla Toscana, rischiando di non
vederle crescere per il “non” adattamento al microclima. E invece no! Oggi
produce ottimo extravergine biologico ed è fra i maggiori produttori di olio da
olive californiani. Non mi dilungo in altre considerazioni, ma constato che l’America è unita, nel
nome di una politica seria e di unione. Tutti insieme, parlano la stessa lingua
e pensano le stesse cose.
Veniamo a noi.
Un articolo di Massimo
Occhinegro, pubblicato su Olio Officina
magazine, racchiude quanto vorrei dirvi a parole
mie. Pertanto vi riporto l’articolo ed invito soprattutto produttori e
frantoiani a riflettere:
La strategia d'attacco è servita. Da Tom Mueller a John Spink e Douglas
Moyer, passando per l'Italia di Coldiretti. Il tutto con la complicità dei
media, con giornalisti e inchiestatari vari (da L'Espresso a il Fatto
Quotidiano, fino a giornali minori come Viaggi di Gusto, senza trascurare libri
come Cibo Criminale ed Extravirginity) e adesso, anche con
Esther De Lange, europarlamentare dei Paesi Bassi. Le bufale dilagano e il
tempismo è molto sospetto. Ecco che l'attacco americano all'olio di oliva europeo diventa sempre
più serrato. In Italia non tutti comprendono che si tratta di un attacco
senza precedenti, una lotta americana versus l'egemonia di mercato, soprattutto
italiana, nel Paese a stelle e strisce. Al contrario, alcuni piccoli produttori, direttamente o per il tramite
delle associazioni a cui aderiscono, plaudono gaudenti come se fossero arrivati
tanti messia dell'olio, capeggiati dall'americano in Italia, Tom Mueller,
capaci di risollevare le loro sorti portate al declino dalle stesse
associazioni a cui avevano affidato, e continuano ad affidare, il compito di
traghettarle verso il successo (sic!). Dopo la questione del clorpirifos, pesticida accettato dagli stessi
statunitensi su altri prodotti agricoli, ma posto come "dazio"
per scoraggiare le vendite di oli di oliva dall'Europa – ma soprattutto
dall'Italia, leader di mercato negli States – ecco che intervengono addirittura
due professori americani, dell'università del Michigan, i quali ci spiegano
(con uno studio datato 2011) cosa si intenda per "frode" e pongono al
primo posto di una speciale classifica, proprio gli oli di oliva tra quelli più
a rischio, basando – sembrerebbe – i loro studi su notizie prese dai giornali,
e quindi da un fantomatico database costruito con riferimento all'arco
temporale che va dal 1980 al 2010. La sopra citata Esther De Lange dichiara espressamente che altre fonti di
informazioni, della sua Bozza di Rapporto, sarebbero le organizzazioni di
produttori (branch organisations). Draft Report ripreso da
media nazionali e internazionali, che contribuisce pesantemente al discredito
di tutto il comparto europeo, senza distinzioni di sorta. L'Unione Europea quindi, nonostante lo "schiaffo"
dell'introduzione della barriera all'entrata negli USA del clorpirifos,
prende per oro colato le informazioni dei due professori americani, basate su
dati storici in molti casi vecchi di oltre trent’anni, attualizzandoli,
facendosi aiutare in questo sforzo denigratorio autolesionista, anche da
organizzazioni di produttori non meglio specificate, che probabilmente hanno
interessi non coincidenti con quelli degli olivicoltori. Non solo, anche l'attacco al Consiglio Oleicolo Internazionale, con
l'ausilio dei cugini di lingua australiani, fa da cornice a questo quadro a
tinte fosche. E pensare che fino al 2010, proprio gli americani, con una legge
del 1948, (sotto il Presidente Harry Truman) consentivano, in pratica la
commercializzazione di "oli di oliva" sulla base di classificazioni
merceologiche molto diverse dalle nostre, legalizzando di fatto, vere truffe.
Gli americani stessi ne erano molto spesso gli artefici, importando oli di
oliva e creando fantomatici blend con olio di canola, bluffando in moltissimi
casi, sulle percentuali dichiarate. In Italia, trasmissioni televisive, società non certo super partes, come si
è dimostrata Eurispes, confezionano ad arte sondaggi inauditi, subito ripresi
da riviste on line e media vari. La pressione mediatica è servita. Tutto questo è solo un caso, o, piuttosto, è il frutto di un disegno ben
organizzato, come quanto descritto, che l'Italia degli ingenui, o degli
stolti, nonché l'Europa degli incompetenti, stanno via via contribuendo a
completare, così da decretare la definitiva marginalizzazione delle nostre
produzioni italiane e l'export relativo?
Ci stiamo facendo del male con le nostre mani, non credete?
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