Segni d’incultura

Quando si parla di olio, ahimè, si scivola sempre. A scanso di equivoci vi dico subito che tutto sommato è andata bene ieri a Sant'Angelo d'Alife, il dibattito sull'olio da olive previsto fra le attività della sagra dell'olio novello. Grazie, dunque, alla Pro Loco Santangiolese per l’invito. Sono contento di aver suscitato un po di sana curiosità e sono contento di aver detto, secondo il mio parere, le cose come stanno. La cosa più lungimirante, credo, in questi casi, è rendersi conto. Per un territorio che pone certe domande, organizzando anche convegni per discuterne, è necessario darsi prima delle risposte soprattutto sullo stato di salute dell'agricoltura e sui livelli di qualità sia dei prodotti che dei servizi offerti. E sulla classe dirigente.

Non c'erano i produttori e questo è un dato che ho sottolineato apertamente, una mancanza inspiegabile, inaccettabile per una terra che evoca tutti i giorni lamentele per la carenza di una politica territoriale che non riesce a dare risposte concrete. Se vogliamo che l'olivicoltura dell'alto casertano e la qualità dell'olio da olive che si produce ci sia riconosciuta, dobbiamo fermarci a riflettere e farci un esame di coscienza, tutti. Invece di puntare il dito contro gli altri dovremmo guardare in casa nostra e soprattutto alle nostre responsabilità, a quanto abbiamo fatto in termini di cultura, di conoscenza, di valorizzazione concreta. I risultati sono quelli che sono e li conosciamo ormai bene, ce ne rendiamo conto quasi ogni volta che ci si incontra per parlare di olio ma non solo, anche di territorio o di altre cose inerenti. Anno zero.

Ieri gli interventi sono stati autorevoli, tutte cose interessanti, sempre attuali; d’altro canto la canzone quando è bella è bella sempre e le persone ascoltano volentieri. L'intento era quello di una tavola rotonda, di un dibattito tecnico dal quale ricavare - insieme agli olivicoltori mancanti - qualche informazione in più, qualche idea nuova, sciogliere qualche dubbio. La platea non era formata da tanti individui e nel mio intervento erano abbastanza attenti, presi dalle cose inusuali che stavo dicendo, presi dalla verità e incuriositi dalla mia posizione verso un senso di responsabilità, dal mio invito a renderci conto di quello che avevamo, soprattutto in termini di qualità di prodotto. Il fine era la consapevolezza e non quello di denigrare un territorio e un prodotto che chi mi conosce sa quanto amo e quanto ci tengo a rivalutare.

Ora, quando si fanno questi incontri il tempo è necessario perché le cose da dire sono tante e altrettanto necessarie, altrimenti si rischia di non essere chiari e far restare le persone con qualche dubbio. A volte però ho l'impressione che si pensi di poter risollevare un territorio con quattro parole, solo per il piacere di un caffè e della presenza fisica, dei contenuti non ce ne può fregar di meno. È un'impressione, per carità, ma quando si resta vittime di certi atteggiamenti, ci si mortifica perché cade il senso di tutto quanto. La platea era interessata, colma, calma, ma qualcuno fremeva di dover scappare per altri impegni e chiedendo celerità bloccò quell'interessante dibattito, che si ruppe, si spezzò fra la gente che si confuse. Si resta vittime, e le parole ancora da dire affogano nel dispiacere di non aver potuto contribuire a fondo per ciò che si ama. Si continua, imperterriti, a dare segni d'incultura. Non mancherà occasione, non demordo, io ci credo.

La foto di apertura è di Mario L. Capobianco.


di Vincenzo Nisio

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