Cristianità e paganesimo, culto e riti, narrato e credenza. Come spesso
accade le feste che scandiscono l’anno solare sono intrise di tutti gli aspetti
appena detti. E gennaio si apre con una grande festa dedicata a Sant’Antonio
Abate o Sant’Antuono, il Santo, raccontavano gli avi, che reclamava la propria
festa. “Pasqua Epifania ogni festa porta via” – risponde Sant’Antuono – “Ci sta
ancora il mio festone”.
E’ una festa a metà tra riti, tradizioni, credenze popolari e cerimonie
cristiane. Una festa che rimanda alle aie, ai cortili, al gotico rurale di
campagne fredde e ventose. Al fuoco che riscalda e purifica, al senso del
magico di cui è intrisa la devozione dei contadini alla terra, alle bestie, al
naturale ciclo delle stagioni.
Pare che il Santo anacoreta mentre si trovava in eremitaggio in una
grotta nel deserto ebbe una esperienza mistica “…vi irruppero demoni che avevano assunto diverse forme di bestie feroci
e di rettili, e il posto si riempì subito di fantasmi di leoni, di orsi, di
leopardi, di tori, di serpenti…”, ma egli cacciò gli animali - demoni e si
salvò.
Ecco perché la tradizione popolare ha trasformato il Santo in
protettore degli animali legando il suo nome ad antichi culti pagani; usi e
credenze che furono così sentite dai vari popoli, nel tempo, da farne mutuare
il rito anche dalla religione ufficiale, come testimonierebbe la Benedictio equorum aliorumve animalium del
rito Romano.
Ma già Boccaccio nel Decamerone fa dire a Fra’ Cipolla “Acciò che il beato santo Antonio vi si
guardia de’ buoi e degli asini e de’ porci e delle pecore vostre…” e gli
stessi stornelli popolari ne decantavano il potere sulle bestie domestiche “…e se hai una gallina l’anno prossimo ne
avrai una sessantina, e se hai un porcellino per l’anno prossimo un mucchietto,
e se tieni jna pecorella, per l’anno prossimo un mucchio…”. A testimoniare
la devozione per il Santo fu l’affissione nelle stalle e nei dormitori degli
animali di santini raffiguranti il Santo circondato da animali con il fuoco in
mano. Sant’Antuono veniva invocato anche per la guarigione degli animali.
Formule magico antropaiche venivano recitate per tre volte fino alla completa
ripresa della bestia.
“Sante crismale medichè lu cape,
sante Siste mèdiche Gesù Criste, Sant’Antuone mèdiche buone, mèdiche quella
vena, che tanta guerre mena”.
Nel giorno di Sant’Antuono si usava uccidere il maiale, sacrificio, anche
questo pagano, da offrire al Santo per la protezione delle altre bestie e per
la buona riuscita della conservazione della carne macellata e di tutti i
prodotti da esso derivanti. Si narra che in molti comuni si usava comprare un
porcello a cui veniva appeso un campanellino. Alla bestia era permesso di vagare
liberamente nel paese, dormire e mangiare dove gli pareva e piaceva, senza
pericolo che alcuno lo rubasse. Il giorno di festa, poi, il porcello veniva venduto
all’asta e il ricavato utilizzato per finanziare la festa e in parte per
acquistare il porco dell’anno seguente. Nasceva così anche la tradizione della
Questua, termine derivante dal latino questa, questuo, quaestus, quaerere, cioè
chiedere. Qualche giorno prima del dì di festa, gruppi di uomini del paese
andavano in giro di porta in porta a chieder cibarie che poi sarebbero servite
ad allestire il banchetto in onore del Santo; più tardi divenne una vera e
propria manifestazione folklorica allorquando i questuanti iniziarono ad andare
in giro di casa in casa cantando e suonando, in alcuni casi anche mettendo in
opera una pantomima teatrale che narrava gli episodi di vita tra Sant’Antonio e
il Diavolo. Nella tradizione vi era l’obbligatorietà di donare qualcosa poiché
il rifiuto veniva visto come un’offesa alla comunità, privata dell’apporto di
un suo membro, ed al Santo di cui bisognava assicurarsi la protezione per
l’anno nuovo.
Ma non tralasciamo alcun particolare. Perché Sant’Antuono viene
raffigurato con il fuoco in mano?
La tradizione vuole che per festeggiare il santo anacoreta si debbano
accendere sulle colline o nelle piazze dei paesi enormi falò, i
cosiddetti fuochi di gioia. Tradizione
molto viva in passato, ma anche oggi, in diversi paesi del Sud Italia dove alla
questua alimentare si associa quella della “legna
di Sant’Antonio” usata proprio per il falò rituale. La festa è però molto
sentita anche in centro Italia ed al nord. In Emilia ma anche in Lombardia, in
aie e cascine, un tempo, si preparavano grandi falò e si attendeva la Bruma,
ovvero il freddo che richiamava il solstizio d’invero; una volta acceso il
fuoco gli abitanti ne ricavavano delle torce e correvano intorno alla loro
proprietà e per i campi in senso di purificazione e vita nuova per i campi.
Anche questo aspetto della festa di Antonio affonda quindi le sue
radici in un atavico passato ed in particolare in quelle “feste del fuoco”
tipiche del mondo pagano che si rifacevano al culto del ciclo solare o, più
semplicemente, alla funzione purificatrice. L’inverno si fa duro e l’uomo tenta
di esorcizzarlo riportando la “luce” sulla terra. Secondo l’idea primitiva di magia
imitativa, così come i fuochi scaldano gli uomini, allo stesso
modo il Sole deve tornare a riscaldare la terra.
L’altra idea è quella della purificazione, forse sviluppatasi in un
periodo posteriore, e legata all’aspetto distruttivo dell’elemento stesso,
concetto facilmente espresso dal bruciare l’effigie, un fantomatico fantoccio
che rappresenterebbe proprio lo spirito arboreo.
Nella tradizione popolare, poi, il tema del fuoco è collegata ad
un’altra caratteristica del Santo, quella di poter guarire gli ammalati
di ignis sacre o “fuoco di
Sant’Antonio”, herpes zoster in medicina.
Interessanti testimonianze in merito sono portate dal Pitrè che
descrive numerose preghiere e scongiuri siciliani per ottenere la guarigione.
“Sant’Antoniu autu a putenti,
Mmau aviti lu focu ardenti, comu jistivu pilivanti e punenti, comu ammanzistivu
li porci di Tubia, ccussì ammanzisti li cristiani a vogghia
mia”.
Macrocosmicamente questa “guarigione umana” viene trasposta a quella
dei campi, la fiamma diventa così il fuoco rigeneratore della tradizione pagana
e dunque ciò che rimane del fuoco del santo, le ceneri, devono esser raccolte per
poi spargerle nei campi e assicurare loro fertilità in un rituale che riporta
prepotentemente a quelle credenze pagane agro-pastorali di cui si è detto.
Da qualche anno si assiste ad un ritorno dei riti legati in qualche
modo ai santi ed al loro potere sull’uomo, al ciclo delle stagioni, ai culti
celtici e pagani. Ancora oggi quindi nelle nostre chiese si tiene la
benedizione degli animali. Nella maggior parte dei casi a buoi, vitellini,
galline e maiali si preferiscono, per ovvie ragioni, animali domestici quali
cani e gatti ma non mancano città, come Ispica in Sicilia, dove sfilano carri,
buoi, maiali e cavalli e la festa si trasforma in una grande giornata di
ringraziamento. A rendere omaggio invece al Santo con i falò più grandi della
penisola sono i pugliesi dove i fuochi prendono il nome di Fòcare ma anche il
Falò di Nusco, in irpinia, è tra i più attesi. Bevande calde, tammurriate e
cucina tipica per ricordare una delle più belle tradizioni della cultura
contadina.
di Giovanna Mastrati - tutti i diritti riservati
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