L’impegno è di tutti e tutti “sembra”
che si impegnano: enti, associazioni, professionisti, produttori, perfino i
consumatori. Si festeggia l’olio, si fanno sagre, eventi, si parla e si
riparla, tutti ne sanno più dell’altro, tutti che propongono una soluzione,
sanno tutto del mondo oleario, si discute. Ma poi?
L’olivicoltura del Matese, come le altre eccellenze, non decolla perché
a nessuno interessa comunicarla in maniera propulsiva e positiva, nemmeno agli
stessi olivicoltori e agricoltori che aimè sono rimasti indietro coi tempi ed
oggi soffrono la competizione di chi è stato più lungimirante. Per non parlare di
chi doveva stare a supporto dell’agricoltura per farla crescere e tenerla al
passo coi tempi, di chi doveva aiutare gli agricoltori ad andare avanti, a crescere,
ad essere competitivi, di chi doveva mantenere vive e inalterate le tradizioni
popolari e la cultura della gente, di chi doveva comunicare tutto questo! Enti preposti
e associazioni dove sono! E soprattutto: dove sono stati fino ad oggi! La colpa
è di tutti se oggi un pecoraio del Matese non riesce a vivere senza i contributi
a pioggia erogati dalla Comunità Europea e se un olivicoltore non sa cosa
significa coltivare un ulivo e curarlo, potarlo con criterio, produrre un
extravergine di qualità, farsi marketing, usare strumenti informatici e commercializzare
all’estero. L’annata olivicola 2014 ne è stata la prova: tutti gli olivicoltori
l’hanno subita in pieno e nessuno è riuscito a gestire la mosca dell’olivo,
conosciuta da più di un secolo. Com’è possibile?
Tuttavia ci sono grandi produttori e grandi extravergini nel Matese,
pochi imprenditori che da soli sono riusciti con impegno a mostrare le
peculiarità di un territorio ancora non ancora contaminato dall’uomo ed ancora
espressione di vita semplice. Basterebbe
comunicare meglio la nostra storia e la nostra cultura, per capire chi siamo e da
dove veniamo e far capire agli altri dove potremmo arrivare.
IL MATESE DELL’OLIO – LE ORIGINI
La storia millenaria della coltivazione dell’ulivo a Piedimonte Matese,
in linea generale, è legata a diversi fattori sia pedoclimatici sia a fattori
di natura sociale, economica, politica e geografica del territorio. La naturale
disposizione delle montagne e la fertilità del suolo hanno certamente
contribuito allo sviluppo dell’ulivo che, però, ha alternato momenti di gran
diffusione, ai quali hanno fatto seguito lunghi periodi di decadenza. Notizie
storiche certe e documentate sulla coltivazione dell’ulivo nelle zone collinari
e pedemontane si hanno già dai tempi dei Sanniti,
l’antico e fiero popolo che combatté strenuamente l’espansionismo dei Romani, i
quali praticavano una coltivazione agraria con un sistema arcaico ma
sufficiente per i fabbisogni della popolazione, nei tratti più fertili delle
vallate del territorio occidentale.
Alcuni autori romani, tra cui Tito
Livio, parlano della fecondità delle colline di “Allifae” e delle sue magnifiche olive. Una ricetta molto apprezzata
dagli abitanti d’Alife romana e riportata da Cazio, filosofo epicureo vissuto poco prima della nascita di Cristo
(45 a .C.),
che lodava una salsa per cucinare gli arrosti, era rappresentata da una
pietanza cucinata con piccoli gamberi di fiume arrostiti insieme a delle
lumache cotte in lattuga e condita con olio d’olivo di fresca spremuta. Il
piatto era ulteriormente arricchito con un contorno di prosciutto e salsicce.
IL MATESE DELL’OLIO – UNA
CURIOSITÀ
Era usanza nei frantoi provare o meglio assaporare le
qualità organolettiche dell’olio prodotto, preparando un gustoso piatto, vale a
dire “il caurello”. Il procedimento
era alquanto semplice: si divideva a metà una pagnotta di pane e, con una pala
di legno, s’infornava per un veloce abbrustolimento. Poi era versata dell’acqua
calda e quindi calate nell’olio appena estratto dalla pressa. Quindi si condiva
il tutto con aglio sminuzzato, acciughe sott’olio e limone spremuto e
nuovamente messa in fornace, con la “panara”
di legno. Il capo operaio, fattone
assaggio, era in grado di stabilire, senza mai sbagliare, le proprietà
dell’olio o i suoi eventuali difetti. Il tutto, naturalmente, era accompagnato
da un buon bicchiere di vino “pallagrello”,
prodotto dagli operai che lavoravano nel frantoio, i quali provenivano dalle
contrade di Monticelli e S. Lucia, luoghi notoriamente produttori di questo
pregiato vino.
"Basterebbe comunicare meglio la nostra storia e la nostra cultura, per capire chi siamo e da dove veniamo e far capire agli altri dove potremmo arrivare."
RispondiEliminaAndatelo a dire a chi per anni si è riempito la bocca con mille parole "al vento" e a chi è andato anche all'estero "in vacanza" dicendo che andavano a portare in mostra i nostri prodotti...
Andatelo a dire a chi ha gestito milioni di euro in progetti di promozione turistica e di valorizzazione del territorio, negli ultimi anni, sprecandoli evidentemente in modo inefficace.. i bla, bla, bla, continuati imperterriti e sfacciatamente, testimoniano la totale e indiscutibile INCOMPETENZA dell'intera classe dirigente matesina. Nessuno escluso!