Se ne sentono davvero tante, non volevo scriverne, non l’ho fatto
finora ma adesso mi trovo costretto a farlo. Stanno uccidendo l’olio italiano,
cioè – dico – ma veramente vogliamo continuare a prenderci in giro? L’importazione
di olio tunisino non ucciderà il made in Italy, ne abbiamo sempre importato
ingenti quantità non solo dalla Tunisia, lo abbiamo detto più volte: l’Italia che è il
Paese dell’olio è paradossalmente obbligata ad importarne per soddisfare il
fabbisogno interno. Chi mi conosce sa
che non condivido campagne di demonizzazione verso gli oli da olive a basso
prezzo; sono di qualità inferiore e pertanto costano di meno, non capisco dov’è
la difficoltà. Il problema invece - e l’ho detto in più di qualche occasione - sta
nella classe merceologica perché troppo vasta e comoda che consente di
considerare extravergine anche l’olio di bassa qualità, che ha caratteristiche
a volte anche molto inferiori ad un olio di qualità elevata ma che comunque rientra
nei parametri previsti dalla legge.
E questa, aggiungo io, non è certo colpa degli oli in commercio a basso prezzo.
Se i consumatori sapessero che non tutti gli oli extravergine sono
uguali e che se volessero consumarlo come investimento per la propria salute
dovrebbero scegliere quello giusto, con le giuste caratteristiche. Se i
consumatori sapessero che l’olio extravergine da olive può essere
considerato un “farmalimento”, ma deve possedere caratteristiche specifiche perché
gli faccia davvero bene alla salute e non tutti gli oli in commercio le
posseggono. Ah, si, se i consumatori sapessero.
L’olio rappresenta un mondo travagliato, che purtroppo è destinato ad
affaticarsi sempre di più. E’ un mondo dove a vincere non è mai il più onesto o
il migliore. I gruppi italiani sono i primi a fuggire, a non credere
nell’olivicoltura italiana, a cogliere in pieno la prima occasione utile per
andare ad investire altrove, dove i prezzi vengono stabiliti dai grandi gruppi.
La qualità che si produce nel resto d’Europa e nel mondo, tuttavia, tranne rari
casi, lascia molto a desiderare ed è qui che entra (o dovrebbe entrare) in
gioco l’Italia, è in questo scenario che bisogna collocarsi invece di piangersi
addosso demonizzando sempre e solo gli oli a basso prezzo. Bisogna educare i consumatori di tutto il mondo
all’olio di qualità, alla cultura del prodotto, è l’unica strada, il contatto
diretto con l’olio è l’unica soluzione possibile per far cambiare rotta alle
dinamiche degli acquisti, il consumatore non va forzato ma va educato alla
scelta giusta. Così, credo, anche il mondo produttivo può
riposizionarsi e trovare un proprio mercato. La Spagna ha fatto delle scelte,
forse sbagliate, ma l’Italia è dormiente. L’olio di oliva è il prodotto più
frodato, non c’è dubbio, ma ad esempio: cosa hanno fatto le nostre istituzioni
dopo la messa in onda del programma “60 Minutes” ? Nulla, il silenzio assoluto.
A me tutto questo non sembra normale, sinceramente. Il mercato pulito e
trasparente è utopia, e allora non ci resta che rimboccarci le maniche e
credere nel nostro potenziale produttivo se vogliamo emergere e dare valore
alla nostra olivicoltura. Si può fare, ma bisogna investire, investire,
investire.
di Vincenzo Nisio - tutti i diritti riservati
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